mercoledì 3 dicembre 2008

Il chucking

Il chunk in psicologia cognitiva è un'unità di informazione. L'operazione di acquisizione di queste unità è chiamata chunking.

Secondo George Miller la proprietà fondamentale del chunk non è costituita dalla sua dimensione, ma dalla sua "familiarità": ovvero un'immagine insolita, anche se semplice, non può costituire un chunk, al contrario una frase molto complessa (per esempio uno stralcio di una canzone imparata a memoria) potrebbe essere un chunk se è molto familiare, indipendentemente dalle sue dimensioni.

Il concetto nasce con la teoria classica che definisce memoria a breve termine e a lungo termine. La prima delle due dotata di una capacità limitata (sette + due blocchi, o chunk, di informazione), la seconda - virtualmente - infinita. Il numero di chunk immagazzinabili nella MBT (memoria a breve termine) è proposto nel 1956 da George Miller, che stima in sette + due la quantità di chunk d'informazione che la memoria è in grado di trattare.

lunedì 1 dicembre 2008

La curva dell'oblio di Ebbinghaus

L'oblio (la dimenticanza) è un fenomeno strettamente legato al ricordo. Dopo aver appreso una qualunque informazione, abbiamo l'esigenza di consolidare la nozione acquisita al fine di renderla stabile per una eventuale futura riproduzione. Nel nostro cervello, in realtà, si realizzano delle trasformazioni del tutto involontarie. Possiamo rendercene immediatamente conto provando a ripetere oralmente questo argomento alla fine della lettura. Inevitabilmente avremo fatto delle diminuzioni o avremo modificato l'informazione in maniera qualitativamente diversa dall'originale. Questo processo di "potatura", del tutto naturale, dura diversi giorni. Una ripetizione dell'argomento a distanza di poche ore subisce, a volte, delle trasformazioni radicali, subendo in modo continuo e inesorabile dei tagli. Ebbinghaus, uno dei più autorevoli esponenti della psicologia sperimentale, riuscì a rappresentare graficamente la velocità con cui si dimentica. Dai suoi studi emersero dei dati sorprendenti Ebbinghaus imparò a memoria una lista di sillabe senza significato, in seguito controllò ad intervalli di tempo variabili di 20 minuti, 1 ora, 8 ore e trenta minuti, un giorno, due giorni, un mese in che misura era riuscito a ritenere le informazioni; disegnò, quindi, il suo grafico in base al numero di ripetizioni necessarie per riappenderle (metodo che va sotto il nome di metodo del risparmio). L'importanza della scelta delle sillabe da memorizzare è fondamentale, infatti esse rappresentano un materiale "neutro", perché non provocano associazioni mentali. Ebbinghaus realizzò, così, una funzione detta "CURVA DELL'OBLIO". Il grafico mostra una curva concava in alto che termina quasi orizzontale verso il basso.
Dimostrò che in genere si dimentica molto velocemente già dopo i primi minuti di apprendimento. L'oblio fortunatamente diminuisce più lentamente nel tempo e dopo una settimana si dimentica ad un ritmo 3 volte inferiore a quello dei primi 20 minuti. Il contenuto cosiddetto "mnestico" ha subito, inoltre delle deformazioni trasformandosi in qualcosa di semplificato, regolare e accentuato (ossia evidenziando certi particolari e certe differenze).

La memoria a breve e lungo termine


La memoria a lungo termine (talvolta abbreviata in MLT) è definita come quella memoria, contenuta nel cervello, che ha una durata variabile da qualche minuto a decenni. I primi modelli di funzionamento della memoria dividevano la stessa in tre 'magazzini', contrapponendo la memoria a lungo termine alla memoria sensoriale, che trattiene per brevissimo tempo le informazioni sensoriali in arrivo, e alla memoria a breve termine che trattiene per pochi minuti un numero di informazioni medio di 7 elementi. Paragonando il sistema cognitivo a un computer, la memoria a lungo termine svolge la stessa funzione di dispositivi per memoria di massa come gli hard disk o i DVD: memorizzata per un periodo di tempo che superi il momento contingente, e che potenzialmente finisca solo con la morte del supporto (o del soggetto).



La memoria a breve-termine (MBT), anche chiamata memoria primaria o attiva, è quella parte di memoria che si ritiene capace di conservare una piccola quantità di informazione, quantificabile tra i 5 e i 9 elementi, come lettere o parole) per una durata di 20 secondi circa. Al contrario della memoria a lungo termine, nella quale è conservata una quantità pressocché infinita di informazioni.
Attualmente, al posto di memoria a breve termine, gli psicologi cognitivi preferiscono parlare di "working memory" o memoria di lavoro: facendo un paragone con l'informatica (o con l'architettura di un computer), la memoria di lavoro coincide con la cache, ovvero con quelle informazioni tenute altamente attive, su cui si sta effettivamente lavorando e che, a meno che non siano memorizzate in modo meno volatile, sono destinate ad andare perse dopo poche decine di secondi.
Le memorie a breve termine sono legate al fatto che un'esperienza viene mantenuta in un circuito formato da varie cellule cerebrali (neuroni) e dai loro prolungamenti, sotto forma di una blanda attività elettrica che continua a percorrere questo circuito diverse volte finché questa attività non stimola la formazione di contatti stabili tra cellula e cellula e in alcuni casi la produzione di sottili prolungamenti che "chiudono il circuito" in una catena di neuroni



MIGLIORARE LA MEMORIA DORMENDO:


L’esistenza di un legame tra sonno e memoria è noto da tempo, un gruppo di ricercatori dell’Università di Dusseldorf ha cercato di stabilire quanto è il tempo minino di sonno che consente di ricordare meglio.
Per questa ricerca è stato chiesto ad due gruppi di persone di memorizzare alcune parole. Un gruppo è rimasta sveglio, mentre è stato permesso al secondo gruppo di dormire per un massimo di sei minuti.
Un’ora dopo è stato eseguito un test di memoria. Il gruppo che ha potuto dormire ha punteggi migliori.
Anche se il risultato finale è un po’ intuitivo, una mente riposata ricorda meglio, la ricerca è interessante perché mostra come i meccanismi che legano il sonno alla memoria non richiedono necessariamente il sonno profondo per entrare in azione.